In molti mi chiedono: ma quando, e dove, è nato il sup?
Beh è molto facile: è una disciplina sacra agli Alpini, nata sulla Marmolada.
Scherzi a parte non è che siccome ci esca abitualmente, per ritrovare il mio io perdendomi in mezzo al mare, ne conosca in automatico le origini: però mi sono informato e ora sono in grado di darti alcune nozioni.
Giacomo Cuocere (ai secoli James Cook) era quello che oggi potremmo definire un travel blogger. Andava dal re di turno, gli esponeva la sua impresa da realizzare, prometteva un sacco di engagement a fine del tour, il sovrano smollava il cash e lo faceva andare in giro a zuzzurellare per il mondo. Solo che non aveva lo smartphone per spararsi selfie.
Resta il fatto che nel 1778 travel-James arrivò alle Hawaii, che non è male come meta, e nel suo blog (ovvero il diario personale) scrisse di aver visto taluni scapestrati pagaiare in posizione eretta su delle grosse tavole, cavalcando le onde, anziché passare la propria esistenza lavorando nei campi per produrre la polenta. Inammissibile.
Alcuni dicono che quelli che lui avvistò non erano niente altro che dei pescatori che rientravano a casa dopo il lavoro: già più accettabile quindi.
Più concretamente si narra che questa disciplina sia nata, o meglio abbia iniziato ad avere coscienza di se stessa, attorno agli anni cinquanta a Wakiki, sempre alle Hawaii. Non c’è nulla da fare:”è da qui che vieni ed è qui che vai“. Come cantava anni fa La Pina, intendendo però tutt’altro.
Sono gli anni in cui si inizia nuovamente a scoprire di brutto il surf, grazie alla figura del leggendario Duke Kahanamoku (del quale trovate ovunque, anche nelle mie foto su Instagram, la citazione “Out of the water, I am nothing”, ma volendo esistono molte sue altre “quotes” che puoi leggere qui). In quegli anni iniziarono a girare sulla carta stampata le prime foto relative al surf e quindi a farlo conoscere al grande pubblico.
Instagram ancora non esisteva: accipicchia.
Però ci si arrabattava lo stesso, probabilmente anche meglio, anzi sicuramente: si fotografava quello che veramente si voleva immortalare e non quello che si pensava avesse portato più like.
La leggenda vuole che Bobby Ah Choy, uno dei primi e più noti beachboys, si fece dare un remo per pagaiare su una tavola longboard ed arrivare al break point, riprendendo l’azione per la prima volta dall’acqua utilizzando una Kodak.
#EpicWin
Come sempre le cose migliori nascono per caso e – senza volerlo- aveva creato quello che venne chiamato il “Beachboy Surfing“.
Con il passare del tempo però prese sempre più piede l’utilizzo delle tavole corte, molto più veloci e maneggevoli, e uno dei pochi che continuò ad uscire con tavolone e pagaia fu John Zabatocky che più che per surfare lo faceva per fotografare gli altri surfer. Insomma quello che faccio io più o meno adesso, con 45 anni di ritardo.
È tutto molto bello ma dalla regia mi dicono abbiamo un altro grande padre della disciplina: Laird Hamilton, che vide che alle Hawaii (e niente, sempre li torniamo) gli istruttori seguivano i giovani surfer-padawan pagaiando in posizione eretta con una pagaia. La cosa gli piacque a nastro, la riportò in auge e diede il via all’affinamento delle tavole e delle pagaie da utilizzare.
Il resto è storia nota: un paio di anni fa Studio Aperto fece un servizio dicendo di aver scoperto questa disciplina nuovissima (praticamente l’avevano inventata loro), che tutti i vip americani praticavano, mostrò una serie infinita di culi e americane bionde abbronzatissime e anche l’Italia si dichiarò pronta a questo nuovo sport.
Se vuoi leggere dei post più precisi (e seri) sull’argomento, ti segnalo queste due pagine:
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