#20anniDiStyle1

Arriva il 2017 e io entro nel ventesimo anno di graffiti.
Vent’anni da quando presi in mano per la prima volta uno spray per realizzare una “scritta” su una parete. È una quantità di tempo siderale che mi fa ragionare anche su quanto sia diventato vecchio, senza chiaramente rendermene conto.

Il graffito in questione è quello che vedi qui sopra, realizzato a Monfalcone in quella che poi divenne la mia Hall of Fame storica. Storica perché appunto ci disegno da vent’anni.

Perché

Iniziai a fare graffiti abbastanza per caso, fondamentalmente perché in quegli anni c’era stato il ritorno della cultura Hip Hop in Italia (anche) sull’onda del successo commerciale degli Articolo31. Proprio per buttarla giù semplice e di ignoranza. Ci furono focolai di interesse negli anni ottanta, una forte nuova “buttata” nei primi anni novanta, poi la cosa divenne (ancora più) underground per poi rifiorire tra il 1996-98. Avrai sentito più volte che nella cultura Hip Hop si parla di quattro elementi: il DJing, la Break Dance, l’MCing e il Writing. All’epoca funzionava ancora che, molto spesso, le persone affrontassero tutte e quattro le discipline e poi (nel tempo) eventualmente si specializzassero in una soltanto.
Io ci ragionai un poco su e trassi le seguenti conclusioni:

  • Avevo la cultura musicale di un’aragosta, non avrei potuto essere un bravo DJ;
  • Avevo il terrore di esibirmi in pubblico, non avrei potuto rappare su un palco;
  • La break mi interessava moltissimo ma i pochi breaker che conoscevo all’epoca mi erano ancora ostili, difficilmente mi avrebbero insegnato;
  • i Graffiti sembravano essere abbastanza alla mia portata.

Iniziai a fare le prime bozze con un’idea abbastanza chiara: diventare il più bravo al mondo.
L’obiettivo era piuttosto ambizioso, non lo raggiunsi e non lo raggiungerò mai, ma fu la spinta grazie alla quale ebbi uno sviluppo stilistico molto forte. Se mi fossi accontentato di essere uno dei migliori della zona, infatti, sarebbe bastato realizzare graffiti di livello molto meno elevato per avere comunque il rispetto degli altri. Non tanto perché gli altri fossero scarsi, quanto per il solito discorso che è facile essere “pesci grossi in mari piccoli”. Decidendo invece da subito di andare a dipingere anche nel resto d’Italia entrai a contatto con stili sconosciuti, tecniche differenti e mi scontrai con dei mostri. Mostri che tra l’altro avevo anche in regione, come ad esempio Soda, un writer di livello altissimo, che ha fatto scuola ovunque e puoi seguire su Instagram qui.

Scazzi

We are at the end of 2016. I’m at the end of my nineteenth year of graffiti on the wall.

Una foto pubblicata da Andrea “Style1” Antoni (@style1graffiti) in data:


Avere scazzi, nel mondo dei graffiti, è praticamente ovvio e quasi banale. Da allora le cose sono profondamente cambiate, resta il fatto che nei primi cinque anni di writing avrei fatto molta meno fatica a mollare tutto che proseguire. Per tutti quelli che avevano iniziato anche solamente sei mesi prima di te, eri una merda, un toy, un copione, un rompi balle potenzialmente da picchiare, sicuramente da crossare (passare sopra al tuo graffito con un altro). Insomma di partenza eri colpevole, solo il tuo impegno nel tempo avrebbe fatto si che forse ti arrivasse del rispetto.
Forse.
Non sto dicendo di essere un duro, o di venire dalla strada, che farebbe molto ghetto. Sto dicendo che è anche grazie a questa “splendida gavetta” che quando mi imbatto in scazzi tra youtuber, twitteri, instagrammer e blogger penso che veramente non sappiate cosa voglia dire avere dei problemi con gli altri. E che il defollow, l’essere bannati, copiati, non citati, sono veramente poca cosa rispetto all’aver subito minacce con spranga di metallo in mano perché dipingevo in una zona di altri, o essermi imbattuto in gruppi di writer che hanno minacciato di spaccarmi le gambe.
La maggior parte dei social scazzi sono nulli, come gran parte dei contenuti che i social network racchiudono.
C’è anche da dire una cosa: è facile parlare ora, con almeno 500 pezzi all’attivo e 20 anni di esperienza, ma prova a pensare che l’ultimo arrivato si presentò con la tag STYLE1.
Stile Uno.
Cazzo: mi si presentasse davanti uno così, un me di vent’anni fa, lo picchierei di brutto.
Forse con me furono troppo buoni.

Bombolette

Fare un graffito, al giorno d’oggi, è quasi banale. Apri un sito internet e ordini una palette di colori con i quali puoi sfumare il mondo. Puoi ordinare quante tinte vuoi, quali vuoi e averle nel giro di pochi giorni. Quando iniziai io si usavano le bombolette delle ferramenta, costavano tra le 8 e le 10 mila lire (ora uno spray professionale costa tra i 3,40 e i 4 euro) e avevano palette colore del tipo: giallo, blu, azzurro, rosso, nero, argento, oro, rame, verde.
Il bianco storicamente non copriva un cazzo e colava a nastro.
La precisione era un optional e la copertura era varia ed eventuale.

From where I stand: ready for new graffiti on the wall!

Una foto pubblicata da Andrea “Style1” Antoni (@style1graffiti) in data:

Fondamentalmente andavi in ferramenta e prendevi quello che c’era, poi in base ai colori che avevi potevi ipotizzare cosa disegnare. Più difficile il contrario.
Saltando negli anni, ad un certo punto, produsserlo le Montana Hardcore, degli spray mitologici che all’epoca erano pieni di piombo più del piombo stesso, che non colavano neanche se ti impegnavi ma che – in Friuli Venezia Giulia – si trovavano solamente in un negozio di Udine. Il problema è che aspettavi che arrivasse un ordine per mesi e poi quando le avevano ti fiondavi li, ma era già passato un altro e le aveva comprate praticamente tutte.
Insomma tu arrivavi ed erano rimasti il verde muschio, il giallo fluo, il rosso e tutti quei pochi colori che a lui non servivano.
E ti attaccavi alla grande.
Così  aspettavi l’ordine successivo che arrivava (almeno) tre mesi dopo. Intanto potevi scegliere tra spray random di ferramenta o le epiche Dupli AerosolArt, che avevano un botto di tinte ma che costavano come un rene.

Diffusione

A fine anni novanta realizzando un pezzo figo in Hall Of Fame potevi essere a posto (a livello di fama) per un anno e mezzo o due.
Questo è dovuto al fatto che tu dipingevi, facevo la foto, aspettavi che il rullino arrivasse a 24 o 36 scatti poi lo portavi a sviluppare, lo spedivi a una fanzine cartacea autoprodotta che usciva con tempistiche casuali e dopo 8 mesi circa il tuo pezzo (se passava la selezione) veniva pubblicato. Poi la fanzine iniziava a girare pian pianino e la gente cominciava a vedere il tuo lavoro un anno dopo. Praticamente le novità erano vecchie di un anno, e chi ti copiava (o se tu copiavi) faceva la corsa su di te con 365 giorni di distacco nello studio. L’irruenza del web ha via via accorciato i tempi: inizialmente uscirono siti come il mio storico AerosolArt.it, o il più noto TazReport, che ogni mese e poi via via con tempistiche sempre più strette, pubblicavano degli special. Poi la gente iniziò a farsi i cavoli propri con canali social personali, fino ad arrivare ad oggi che puoi benissimo fare una diretta facebook mentre dipingi. Quello che ne consegue è che con un graffito in Hall Of Fame puoi avere fama per una settimana, a meno che non dipingi delle figate estreme tipo Peeta. Ma qui siamo a livelli stilistici di alieni. Insomma il vortice dei social ha colpito a nastro pure i graffiti che, nel tempo, si sono intanto in parte slegati dalla scena hip hop e per molti sono diventati una semplice alternativa molto più grande alla tela.
Via via lo studio della lettera è andato a quel paese in nome dei molto più commerciali figurativi, i materiali sono diventati sempre più precisi, sempre più diffusi e sempre più vicini alle esigenze.

Conclusioni

This is the timelapse of the wall painted by me on saturday in Pieris!

Un video pubblicato da Andrea “Style1” Antoni (@style1graffiti) in data:


Tutto questo per dire cosa? Fondamentalmente niente.
Sono una serie di riflessioni che ho fatto a mente fredda su di me e sul writing, quelle cose che fanno i vecchi. Date le mie due decadi sulla scena, ti chiedo di permettermelo. E durante quest’anno ti parlerò in modo più approfondito di varie sfumature di questa realtà di cui molto spesso conosci la punta dell’iceberg (la foto dell’opera in se) ma quasi nulla di tutto quello che c’è alle sue spalle.
E ti assicuro che non è per nulla banale, spero di non annoiarti. 😉
Enjoy!

4 Comments

Giovanni Cappellini
Gennaio 3, 2017 11:48 am

Ho letto con piacere questa storia ricca di chicche vintage e della tua consueta auto-ironia. Quello dei graffiti è un mondo di cui ho sempre capito poco, e questo fatto del non capirci anche dopo 20 anni mi fa sentire giovane.

stailuan
Gennaio 3, 2017 11:51 am

ahahaha sei coerente con te stesso insomma 😀
dai, magari dopo un pochi di post sull’argomento, la nebbia in materia sarà un poco diradata 😀

Roberto Saetta
Gennaio 4, 2017 2:38 am

bella storia. volevo condividere sulla mia pagina wordpress, ma non riesco..
comunque,
Bella Li. Yo!

stailuan
Gennaio 4, 2017 10:05 am

ciao, non ho idea come funzioni la condivisione tramite wordpress 😀 non ho mai provato 🙂

Rispondi a Roberto Saetta Annulla risposta

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.