Il minimalista di Instagram

Il minimalista di Instagram, nove volte su dieci, è un photoshopparo.
A volte neanche particolarmente bravo, molto spesso si.
Il “nove volte su dieci” è, ovviamente, un dato privo di qualsiasi scientificità e puramente basato a spanne sulla mia esperienza personale.
Poi ci sono anche quelli che sono dei fotografi minimalisti, ma in questo caso sono bravi e basta e quindi c’è poco da fare oltre che inchinarsi al loro cospetto.

Il minimalista di Instagram basa la propria fortuna sul fatto che la stragrande maggioranza degli utenti presenti su questa piattaforma non pensano che le immagini pubblicate possano essere fortemente ritoccate. E non parlo di editing a livello di applicazione di filtri e modificazione dei colori, bensì di costruzione a più livelli di un’immagine. Insomma un farloccamento di quelli pesi.
Questo avviene un poco perché la maggioranza delle persone è (giustamente) ignorante di un campo troppo vasto e tecnico del quale alla fin fine chissenefrega (sono li per pubblicare foto di panini e di gatti, non per diventare i king del fotoritocco alla fin fine) un poco perché gli instagrammatori ragionano per app.

Con che app hai fatto questo?
Illustrator.
Ma vaaaaaaaa! Ma da smartphone? C’è l’app?
No. Esiste il computer fisso. Ancora. Per il momento. L’ho realizzata li e poi l’ho importata nel telefono.
Ah, allora niente“.

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La costruzione di un’immagine epicamente farlocca, utilizzando praticamente tutta la Suite Adobe (genericamente craccata ovviamente) non passa per la mente della maggior parte degli utenti. Un poco perché non saprebbero utilizzarla, un poco perché non saprebbero craccarla, un poco perché – come detto prima – ragionano solo per app. L’app per utilizzare i filtri, l’app per salvare gli hashtag, l’app per portare a pisciare il cane e l’app per fare i pop con.
Lo spettacolo è servito.

E su di questo, più o meno consapevolmente, agisce il minimalista impostore di Instagram.
Ah che si sappia: io ho farloccato una caterva delle mie immagini, e credo sia solo che giusto. Perché? Perchè mi andava di farlo, perché non sono un fotografo ma uno che condivide sul suo profilo quello che gli gira.
Le immagini di partenza si sdoppiano, si specchiano, i pattern si clonano, le imperfezioni si eliminano e il risultato finale è uno spettacolo.

Ma non ci avete mai pensato?
Ma veramente?
Ma dai, non ci credo.

Ma come ha fatto Tizio X a trovare quella finestrella piccolissima in mezzo ad un muro enoooooorme che qualche imbianchino preso da raptus di follia ha dipinto obliquamente mezzo giallo e mezzo verde? Finestrella che tra l’altro si trova tipo a 7,5 metri d’altezza, in un punto a cazzo del presunto edificio, e priva di sorelle?
E davanti a questo coloratissimo muro dipinto obliquo, passa una mega gnocca, assolutamente da sola, con un vestito dalla grafica obliqua uguale a quella della parete e l’ombra proiettata in modo nettissimo su quest’ultima.
Incredibile.
No, photoshop.
Però figo.
Io supporto eh.

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E la foto allucinante di questo maledetto aeroplano che tutti gli instagrammatori fotografano sempre nel preciso istante in cui passa nel mezzo di quattro grattacieli? Oh e lo prendono sempre nel centro esatto, con tutti i palazzi in prospettiva simmetrica. Devono essere rimasti in mezzo a quell’incrocio, schivando automobili, tram e convogli di qualsiasi tipo per ore.
Eroi.
Oppure tutti, mentre attraversavano sulle strisce pedonali, hanno avuto la fortuna di fare lo scatto della vita.
Oppure hanno buttato li, con photoshop, una splendida silhouette.
E fanno benissimo, io li stimo e li laiko a palate.
Però è photoshop.

Non è mobile photography, a meno che per mobile non intendiate che i livelli di Photoshop si possano spostare. In quel caso è mobilissima, praticamente una runner.

Il problema che si presenta nel momento in cui io posto una foto farlocca è: sto facendo storytelling? Sto raccontando una storia? No, fondamentalmente sto raccontando balle. Però balle bellissime a giudicare dai like. Enormi, ma minimaliste, balle.
Voi volete essere storyteller? Io personalmente no, almeno non sempre.
Dipende cosa volete un poco dalla vostra vita e da quella del vostro profilo.
Lo storytelling è altro, ed è diverso dal pubblicare una foto random su Instagram accompagnandola con una didascalia cazza. Ce ne parla anche la mia amica Giovanna Gallo qui.
Se invece volete imparare a utilizzare Instagram al meglio e scrivere didascalie devastanti, potreste prendere in considerazione l’idea di comprare il mio libro cliccando qui.

Tutto questo post per chiedervi di comprare il mio libro?
No, tutto questo per farvi vedere con occhio diverso, più cinico e realista la realtà di alcune foto.
Poi se siete spronatissimi ad acquistare il libro tanto meglio e comunque, ricordate che, alla fin fine, su Instagram vale sempre la regola numero uno : la regola dello #sticazzi.
La regola del vivi e lascia vivere e pensa maggiormente al tuo lavoro che ti porta pecunia, che non di soli like vive l’uomo.

Enjoy

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Disclaimer

Nel web ormai quasi tutto è marketta e quindi il sospetto che un post sia sponsorizzato è legittimo. Ti dichiaro che questo non lo è: il mio editore non mi paga per scrivere post (ma chiaramente se compri il libro siamo entrambi felici), figuriamoci se lo fa Instagram stessa. Dalla pubblicazione di questo post non deriva alcun tipo di compenso.
Attualmente faccio parte dell’associazione Instagramers Italia, ma questo post non parla di persone, fatti o progetti legati a essa.
Se non sei membro dell’associazione e ritieni che io stia parlando esclusivamente di questa devo deluderti, perché non è così.
Se invece sei un membro dell’associazione, e credi che io mi riferisca a questa, sei ugualmente in errore: nei miei post parlo solo di tendenze generali in atto su Instagram.
I miei post volgono lo sguardo in modo ampio verso le dinamiche di Instagram, ricordandone i pregi ma sottolineandone -con ironia- i difetti.
Posso chiaramente piacere o non piacere, ma questo è assolutamente soggettivo. 

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